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Automazione e Strumentazione n Gennaio - Febbraio 2024 Primo piano 23 DOSSIER grande quantità di energia ed è proprio grazie a questo fenomeno che le stelle possono brillare per miliardi di anni consumando molto lenta- mente la riserva di Idrogeno e di altri elementi leggeri. L’efficienza energetica del processo fisico della fusione termonucleare è impressionante: 60 milioni di volte più della combustione chimica (quella degli idrocarburi) e una decina di volte più della fissione (cioè la rottura di atomi pesanti come Uranio e Plutonio); inoltre, a differenza di quest’ultima, il combustibile è virtualmente ine- sauribile e la produzione di scorie radioattive comparabilmente trascurabile. A tale abbondanza di vantaggi corrisponde però una enorme complessità di realizzazione. Il dispo- sitivo con il quale fisici e ingegneri stanno cer- cando di realizzare la fusione è probabilmente la macchina più complicata mai concepita. Anzitutto perché per innescare la fusione occorre formare un plasma super riscaldato (centinaia di milioni di gradi) in modo che si riesca a superare la barriera coulombiana dell’Idrogeno, per permet- tere ai nucleoni di interagire tramite la cosiddetta forza forte; per ottenere questo riscaldamento e per controllarlo si usano onde elettromagnetiche ad alta frequenza, decine di GigaHertz (che inte- ragiscono con gli elettroni), o a media frequenza, MegaHertz (che interagiscono con gli ioni). Confinamento magnetico e inerziale Poi c’è il grande problema di contenere questo plasma supercaldo: non potendo contare sulla pressione gravitazionale, come avviene nelle stelle, occorre qualcosa che impedisca al pla- sma sia di sciogliere le pareti della camera di fusione, sia di disperdere troppo rapidamente tutto il calore immagazzinato. Ecco allora il concetto chiave di ‘ confinamento ’, che si può pensare come isolamento termico, o anche come ‘sospensione’ del plasma caldo affinché le pareti possano resistere alle temperature elevate. A tutt’oggi, il confinamento migliore è stato raggiunto con un campo magnetico a configurazione altamente simmetrica, con una forma a ciambella (un ‘toro’, geometricamente parlando): è il tokamak , un acronimo in lingua russa (è stato ideato da scienziati sovietici negli anni 60) che significa proprio ‘camera toroidale per il confinamento magnetico’. Ci sono comunque altre linee di ricerca sui reattori a fusione; ne citiamo due in particolare. Lo Stellarator : il ‘fratello minore’ di tokamak, di cui è essenzialmente considerato il back-up. È sempre a confinamento magnetico ma ottiene la stabilità del plasma non con l’induzione di una corrente interna ma grazie a una partico- lare geometria delle bobine, non circolare ma con una forma ‘attorcigliata’. L’interesse parti- colare è dovuto al fatto che si tratta intrinse- camente di una soluzione stazionaria, per cui teoricamente più stabile, e non ha bisogno di corrente per mantenere la torsione delle linee di campo. Finora però i risultati sono ancora infe- riori al tokamak. L’altra linea di ricerca è il cosiddetto confina- mento inerziale , di cui si è tanto parlato lo scorso anno per una serie di risultati molto lusinghieri raggiunti al National Ignition Facility ( NIF ) di Livermore (Usa). Con questo approccio, l’ener- gia si ottiene provocando, mediante fasci laser, l’implosione di una micro-pastiglia di combu- stibile di Deuterio - Trizio. In un primo tempo è stata applicata la tecnica di inviare un grande numero di fasci laser, il che però non impediva il formarsi dell’instabilità. Gli esperimenti recenti sono basati sull’approccio hohlraum : implosione di una pastiglia di Deuterio - Trizio in modo totalmente simmetrico, per evitare instabilità di tipo idrodinamico. La tecnica consiste nel rin- chiudere la sferetta di combustibile in una cap- sula metallica che viene disintegrata dai laser; la disintegrazione innesca un fiotto di raggi X Con la sua configurazione toroidale di tipo Tokamak, il reattore dimostrativo Iter dovrà dimostrare la possibilità di ottenere e sostenere la reazione di fusione nucleare
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