Effinciency_and_Environment_03_2020

127 Efficiency & Environment - Marzo 2020 Speciale Blue economy utilizzare e ottimizzare le pro- prie risorse. Come sostiene l’economista belga Gunter Pauli, ideatore della Blue Economy, “bisogna essere innovativi e creativi, con- vertendo risorse inutiliz- zate o non produttive in vere piattaforme di svilup- po. In natura non esistono disoccupati, e neppure rifiuti, fa osservare Pauli. Tutti svolgo- no un compito essenziale, e gli scarti degli uni diventano materia prima per altri, in un sistema a cascata in cui nulla viene sprecato”. Nella sua ultima pub- blicazione, Blue Economy 2.0, l’economista ci spiega dettagliatamente un modello che prende totale ispirazione dalla natura, la quale si sa, dice Pauli, è di gran lunga più efficiente del ‘capitale umano’. Il cuore del pensiero ‘blu’ è insomma il pieno adattamento al nostro ecosistema tramite un modello di economia che si ispiri ad esso. Ciò si- gnifica innanzitutto riportare l’economia locale al centro del processo: se riusciamo a soddisfare le necessità primarie nel nostro territorio, stiamo già compiendo un atto rivoluzionario, e ponen- do le basi per un modello di sviluppo virtuoso capace di alimentare l’economia globale e di far- ci uscire dal sistema fallimentare perseguito fino ad ora, votato solo al profitto, alle speculazioni e all’accumulo del debito che negli anni hanno generato la crisi che tutti conosciamo. In realtà, scavando un po’, non c’è niente di così nuovo e rivoluzionario nel pensiero di Pauli. È facile intuire, e molti grandi pensatori l’hanno sempre sostenuto, che niente di cui abbisognia- mo non esiste su questo mondo, come pure che le più grandi scoperte sono avvenute proprio dall’osservazione della natura. E quindi la ‘non’ rivoluzione sta nel comprendere che come in natura tutto è utilizzato e fa parte di un ciclo globale, così deve, o dovrebbe essere, anche in economia. Basti pensare, per esempio, ai tanti materiali di scarto che nel settore agroalimen- tare vengono riutilizzati per le coltivazioni. Ma anche alla rigenerazione di beni e manufatti che abbiano esaurito il loro ciclo funzionale, al riu- tilizzo dei materiali, all’uso oculato del legno e delle risorse naturali. E ancora, in senso esteso, alla progettazione di prodotti industriali con un arco di vita più lungo, o alla rigenerazione delle aree urbane grazie all’apporto del loro tessuto sociale, degli stessi cittadini, analogamente a quanto succede nel metabolismo di qualsiasi creatura vivente. A giovare di questo cambio radicale di paradig- ma sarebbero anche i nostri mari, le cui condi- zioni di salute sono ad oggi tutt’altro che rassicuranti. La Blue Economy convoglia su questo tema specifico tutta una serie di interessanti proposte e soluzioni, che vanno dalla riorganizzazione della pe- sca e del settore alimentare ittico alla cantieristica navale, dal turismo costie- ro alle attività estrattive, solo per citarne alcune. Un progetto con un potenziale di vastissima portata, che la Commissio- ne Europea ha inserito nel proprio bilancio UE 2021-2017 destinandogli risorse per 6,14 miliardi di euro. Il piano riguarda la realizza- zione di un Fondo che permetterà di investire in tecnologie innovative e nuovi servizi marittimi, come l’energia oceanica e la biotecnologia marina, con l’obiettivo di rivitalizzare i settori tradizionali e individuare quelli emergenti, assicurandosi che gli ecosistemi marini siano salvaguardati. Ma come si posiziona l’Italia in questo nuovo panorama? Con- siderando anche il suo patrimonio di quasi 9.000 km di coste? Orgogliosi del nostro Paese Possiamo andarne orgogliosi: l’Italia è la terza più grande economia blu del vecchio continente, leader nell’impiego delle risorse marine e del tasso di produttività. L’economia blu italiana è enorme, e da sola genera quasi 20 miliardi di euro di valore aggiunto, se si considera anche il turismo costiero, producendo a cascata lavoro per oltre 390.000 mila persone. Naturalmente, si tratta di una risorsa importante soprattut- to per il Sud Italia, dove sono in tanti i giovani imprenditori che hanno puntato su questo nuovo modello economico di sviluppo. Secondo Confindustria, già alla fine del 2017 circa il 10% di imprese della Blue Economy italiana nascevano da iniziative di giovani operatori principalmente del centro e sud Italia. A conti fatti, negli ultimi dieci anni l’economia blu ha dimostrato sul campo di sapersi sviluppare e consolidare ra- pidamente, resistendo non solo alla crisi finanziaria, ma attu- tendo in parte i danni causati dalla recessione sulle economie costiere. Ad oggi Italia, Regno Unito, Spagna, Francia e Grecia sono le cinque più grandi economie blu d’Europa. Mi piace pensare all’economia blu come all’onda di un mo- vimento aperto e inclusivo che riunisce e sintetizza tanti aspetti importanti della vita. Grazie all’alto grado di inno- vazione tecnologica di cui sempre più disponiamo in tutti i settori dell’economia, sarà inoltre possibile creare più posti di lavoro, e conseguire alla fine anche un ricavo maggiore. Di fatto, secondo Pauli, i modelli economici tradizionali utilizza- no una strategia di riduzione spasmodica dei costi marginali, puntando sulla globalizzazione dei processi: ciò diminuisce di molto il valore del lavoro e getta le basi per una corsa for- sennata all’aumento della quota di mercato, senza fare i conti con i ‘danni collaterali’ che questo approccio malsano produ- ce. Tali danni, inoltre, ‘imprigionano e irrigidiscono’ il sistema in un circolo vizioso di resistenza al cambiamento e di non rigenerabilità. L’unica strada possibile, quindi, per uscire dalla crisi è quella di fare il massimo con ciò che si ha: è questo, in sintesi, il dettato essenziale della Blue Economy. Ed è l’unica strada che abbiamo per mettere al sicuro il nostro futuro e quello delle generazioni che verranno. Foto tratta da www.pixabay.com

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