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Tavola rotonda OTTOBRE 2024 AUTOMAZIONE OGGI 457 | 75 perchè è conoscendo le tecnologie e gli stru- menti con cui si lavora che si possono fare le giuste scelte applicative, si possono porre le basi per sviluppare processi futuri, si possono ottenere risultati migliori. Non sempre la competenza può essere trovata all’interno dell’azienda o l’azienda stessa, pur investendo in formazione, ha tempo per aspet- tare che la sua forza lavoro si formi. Quindi molte adottano il paradigma dell’Open Inno- vation, un’innovazione distribuita che va oltre i confini dell’azienda e che contempla una collaborazione con start-up , università, istituti di ricerca, consulenti e anche altre aziende con- correnti e non. Un approccio più nuovo, fresco e alternativo al solito modello di business che vede percorsi, verso il mercato, esterni ai con- fini aziendali; una modalità che permette alle imprese di far fronte alle sempre nuove dinami- che di mercato e rimanere competitive. L’Open Innovation è già un fenomeno stu- diato, che vede, secondo l’Osservatorio Startup Thinking del Politecnico di Milano, l’86% delle grandi imprese italiane adottare questo ap- proccio che permette di attingere a strumenti e competenze esterne per creare valore ed essere più competitive. La ricerca del PoliMI mette in evidenza che sono le start-up le più richieste, in quanto sono quelle che riescono ad avere tempi di sperimentazione e/o di modifica più brevi, proprio grazie alla loro natura più agile e lean. Ma nonostante l’idea che questa Innova- zione Aperta e Distribuita garantisca numerosi benefici, il risvolto della medaglia presenta dif- ficoltà e limiti che vanno dalla complessità ge- stionale e organizzativa, all’aumento dei costi, alla mancanza di competenze adeguate, alla scarsa percezione dei benefici e ai rischi legati alla proprietà intellettuale… insomma la possi- bilità di vita di questa ‘filosofia’ dipende molto dagli equilibri dell’intera organizzazione. Vediamo allora cosa ne pensano le nostre aziende. È da anni che si parla di non corrispondenza tra domanda di lavoro da parte delle imprese e of- ferta di lavoro da parte dei lavoratori, e sono an- coramolte le imprese che non riescono a trovare i candidati ideali per le assunzioni che hanno pro- grammato. Eppure, le università sono piene e un laureato su cinque risulta non occupato e alcuni laureati italiani decidono di lavorare all’estero. Cosa non va? Risponde Chantal Scaccabarozzi , VP risorse umane, Schneider Electric Italia ( www.se.com/ it/it ): “Se parliamo di laureati in materie Stem, il problema non è il mismatch di competenze, bensì il fatto che la domanda da parte delle aziende sia più elevata rispetto all’offerta: è im- portante portare all’attenzione dei giovani que- sti percorsi di studio, ma anche, a mio avviso, aprire un dialogo con il mondo accademico nell’ottica di ampliare l’accesso alle facoltà che oggi sono prevalentemente a numero chiuso. Da qualche anno, peraltro, ci sono anche per- corsi non universitari, come gli ITS, che nascono in stretta relazione con il mondo aziendale: partecipando attivamente alla creazione delle figure professionali del futuro, le aziende pos- sono contribuire molto a ridurre il disallinea- mento”. Sottolinea Alessandro Munari , academy education coordinator, divisione Factory Automation di Mitsubishi Electric ( https:// it.mitsubishielectric.com/fa ): “Riteniamo che la collaborazione tra scuole e aziende sia fonda- mentale per preparare gli studenti al mondo del lavoro. È essenziale che vi sia una sinergia fra le parti, per creare opportunità significa- tive di incontro e scambio. Gli istituti scolastici possono fare molto per facilitare questa con- nessione, come potenziare gli stage e favorire la partecipazione delle imprese agli open day scolastici. Anche le università hanno un ruolo cruciale nel promuovere l’incontro tra studenti e aziende attraverso attività quali seminari, tiro- cini e progetti di collaborazione. Queste inizia- tive non solo offrono agli studenti esperienze pratiche e una visione concreta del mercato del lavoro, ma supportano anche le aziende a individuare talenti, contribuendo così alla formazione di professionisti del settore. La collaborazione deve iniziare già negli istituti superiori, attraverso attività di orientamento che permettano agli studenti di acquisire una comprensione più profonda delle dinamiche aziendali e delle opportunità professionali”. Ribadisce Anna Saccon , HR director, coordina- tion south Europe (Italy, France, Spain, Greece) in Bosch Rexroth Italia ( www.boschrexroth. com/it/it ): “È vero che ci sono tanti laureati in Italia, dal momento che, fortunatamente, nel nostro Paese permane la cultura di seguire percorsi universitari. È altrettanto vero, però, che la tendenza generale è più rivolta verso le discipline umanistiche, nonostante il mercato del lavoro richieda sempre più figure di natura ‘scientifica’. Ciò ha creato un mismatch fortis- simo tra domanda e offerta, al punto da gene- rare il paradosso di un’ampia platea di laureati soggetta per lungo tempo a forme di instabilità professionale, a fronte tuttavia di una concla- mata carenza di figure di natura tecnica e in- formatica. Non è un problema esclusivamente italiano, enormi difficoltà di reclutamento di determinati profili si verificano anche in nu- merosi altri Paesi europei, e crediamo ciò sia dovuto alla propensione di molti giovani a se- guire le proprie passioni indipendentemente dalla prospettiva di un’occupazione sicura. Per ovviare a questo disequilibrio occorre agire su due fronti: da un lato, serve che la scuola rie- sca a rendere più interessante l’insegnamento delle discipline scientifiche; è necessario un nuovo approccio per fare in modo che i ragazzi se ne innamorino, che si rendano conto che la matematica, per citare un esempio, non è una materia arida. Tutt’altro, è più affine alle ma- terie umanistiche di quanto si possa credere. Dall’altro lato, è necessario che aziende come la nostra, focalizzate su settori tecnologici così spinti, rafforzino la loro connessione con gli istituti medi superiori, ma anche con le uni- versità e con gli ITS nati negli ultimi anni, così da allineare maggiormente i loro piani di stu- dio alle reali esigenze del mercato del lavoro. Una ragione su tutte: non è sempre necessario che la ricerca di personale debba concentrarsi esclusivamente su giovani in possesso di una laurea magistrale”. Secondo i dati della ricerca di ManpowerGroup sul Talent Shortage, le aziende che in Italia dichiarano la carenza di talenti sono il 72%. Tra le varie skill, quelle più difficili da trovare secondo i datori ita- liani sono proprio nel settore manifatturiero. Se- condo lei e secondo la sua azienda, quali sono le figuremaggiormente richieste dal mercato oggi, e quali le nuove figure richieste per le nuove profes- sioni in campomanifatturiero? Quali quelle richie- ste dalla sua azienda? Quali figure invece, secondo lei, sono desinate a soccombere e perché? Munari spiega: “Lo sviluppo di talenti è una sfida significativa per molte aziende, e il settore manifatturiero non fa eccezione. La comples- sità crescente dei macchinari richiede tecnici con competenze avanzate, il che implica lo svi- luppo e l’evoluzione del ruolo del tecnico spe- cializzato. Tra le figure maggiormente richieste dal mercato figurano i tecnici di automazione e meccatronica e gli addetti alla manutenzione e riparazione di impianti caratterizzati da livelli tecnologici avanzati. La digitalizzazione, inol- tre, ha introdotto la necessità di nuove com- petenze, per esempio quelle degli sviluppatori

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