Negli ultimi due secoli il lavoro è sempre stato abbastanza noioso. Questo trend ha avuto inizio con la rivoluzione industriale, quando il lavoro meccanizzato e ripetitivo ha cominciato a rimpiazzare quello artigianale. Frederick Taylor nel 1800 era diventato un teorico del management molto influente, mostrando come le aziende fossero in grado di aumentare notevolmente la produttività suddividendo il lavoro in una serie di processi ripetitivi. Ulteriori studi sul tempo e il movimento diedero linfa ai principi scientifici di Taylor e nel 1913 Henry Ford inaugurò la prima catena di montaggio in Michigan. Così i lavoratori rimasero fermi a ripetere lo stesso gesto più volte, ancora e ancora.
Da un punto di vista della produttività questa fu una mossa geniale, i tempi di produzione si erano ridotti incredibilmente infatti, e in alcuni casi erano passati da 12 ore a solo 2 ore. La produzione di massa, inoltre, aveva creato molti lavori ben pagati per lavoratori non troppo qualificati. Questa “rivoluzione” ha abbassato anche i costi delle merci, creando lo stile di vita della classe media. L’altra faccia della medaglia, però, associava questa prosperità a un lavoro che era sinonimo di una fatica e sforzo che non avevano molto senso.
Nel 1917 lo psicologo americano G.G. McChesney pubblicò un articolo, “The psychology of efficiency”, nel quale argomentava che trattare i lavoratori come macchine era fondamentalmente inumano e poneva l’accento sull’importanza di un lavoro più umano-centrico. In seguito abbiamo assistito a diversi tentativi di riportare l’umanità all’interno del concetto di lavoro. Nel 1933 Elton Mayo, psicologo e teorico del lavoro australiano, ha pubblicato “The Human Problems of an Industrialized Civilization”, una critica al pensiero “meccanico” di Taylor che dava importanza alle relazioni umane all’interno delle aziende. Questo concetto ha dato origine alla disciplina delle relazioni umane, che sostiene come i manager debbano aiutare i lavoratori ad adattarsi alla produzione industriale prendendo in considerazione fattori umani e culturali.
Da un punto di vista psicologico, un “buon” lavoro è associato all’autonomia e alla creatività, mentre un “cattivo” lavoro è associato alle attività ripetitive. In tutto il mondo, le aziende stanno investendo miliardi di euro in progetti di trasformazione digitale che mirano a rendere i dipendenti più produttivi eliminando i compiti ripetitivi. In teoria, cancellando questo tipo di attività, si dovrebbe avere più tempo per sviluppare task strategici che creano valore, sia per l’azienda che per i dipendenti.
Molte aziende non sanno come creare esperienze di lavoro coinvolgenti, però. In un’epoca che vede macchine sempre più intelligenti, le aziende dovranno creare lavori in grado di sfruttare i punti di forza umani, come la creatività, la socialità e la leadership. Uno studio del Journal of Applied Psychology (JAP) ha rivelato infatti che le persone hanno più probabilità di svolgere lavori stimolanti in caso di un’apertura ai valori di cambiamento e un’alta autonomia.
A prescindere dal settore e dalla grandezza della propria azienda, una cosa appare chiara oggi: è importante investire su quelle tecnologie capaci di ridare importanza alle qualità umane e permettere alla propria organizzazione di rimanere competitiva nella digital trasformation.
Questo è certificato anche dai dati, in una ricerca condotta da ServiceNow lo scorso anno, che cercava di carpire quali fossero gli ingredienti per ottenere un lavoro più appagante, il 72% dei dipendenti di aziende con un alto grado di automazione ha affermato di avere a disposizione più tempo per la creatività e il 77% ha dichiarato di svolgere meglio le proprie attività.
Le nuove tecnologie come l’automazione, il machine learning e l’intelligenza artificiale, permetteranno quindi ai dipendenti di liberarsi di tutte quelle attività ripetitive, abilitando una maggiore produttività e quindi una miglior capacità di raggiungere gli obiettivi di business.
Questa è la specialità di ServiceNow. Da sempre attenta a creare le migliori esperienze per i dipendenti e consentire loro di utilizzare strumenti lavorativi con la stessa semplicità con la quale utilizzano la tecnologia nella vita privata, per liberare la loro creatività e farli lavorare e vivere meglio.