Nel 2019 l’Italia ha fatto importanti passi avanti nel percorso di digitalizzazione, gettando le fondamenta di un “sistema operativo” per lo sviluppo digitale. Ha accelerato la diffusione dell’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR), con 4.300 comuni subentrati nella piattaforma e 35 milioni di italiani coinvolti. Si è avvicinata all’obiettivo di 150 milioni di pagamenti su pagoPA entro il 2020, con oltre 63 milioni di transazioni effettuate e 15 mila PA attive, anche se solo 4.200 hanno effettivamente ricevuto almeno un pagamento. Ha rilasciato 13 milioni di Carte d’Identità Elettroniche (CIE) al 21% della popolazione italiana. Sono state erogate 5 milioni di identità digitali tramite SPID. Tali identità consentono di accedere a 4.200 servizi online di oltre 4.000 PA, anche se il livello di effettivo utilizzo è ancora limitato. Sono oltre 140 milioni le fatture elettroniche verso la PA e più di 1,5 miliardi quelle fra privati. Il Fascicolo Sanitario Elettronico è attivo in tutte le regioni, completamente operativo in 18 e copre il 22% degli assistiti e oltre il 63% dei referti prodotti. Sono stati pubblicati più di 27 mila Open Data.
È quanto emerge dalla ricerca dell’Osservatorio Agenda Digitale della School of Management del Politecnico di Milano, presentata ieri mattina al convegno “Italia digitale: la macchina è pronta a correre?”.
Questi progressi non trovano ancora conferme nelle classifiche internazionali. Sul Digital Economy and Society Index (Desi), che misura lo stato di attuazione dell’Agenda Digitale nei Paesi europei, l’Italia si colloca al quintultimo posto, con un ritardo in particolare nelle aree delle competenze digitali e dell’uso di Internet. E anche secondo i Digital Maturity Indexes, il sistema di indicatori sviluppato dall’Osservatorio Agenda Digitale per superare i limiti del Desi, l’Italia si colloca nella parte bassa della classifica: al 20° posto per sforzi di realizzazione dell’Agenda Digitale e appena 24° per risultati raggiunti: il divario con la media europea è stato eliminato per infrastrutture e digitalizzazione della PA, ma è urgente aumentare l’uso effettivo delle tecnologie da parte di cittadini e imprese. Inoltre, bisogna accelerare i processi di impegno e spesa delle risorse per l’Agenda Digitale: l’Europa ha messo a disposizione complessivamente 11,5 miliardi di euro (1,65 miliardi di l’anno) dal 2014 al 2020, il 77% (1,27 miliardi l’anno) da fondi strutturali di cui a fine 2018 sono stati spesi meno del 16%.
Le aree di maggior ritardo sono il capitale umano (26° posto), l’uso di Internet (25°) e l’integrazione delle tecnologie digitali (23°), mentre nella connettività (19°) e nei servizi pubblici digitali (18°) si registrano i maggiori progressi. Stiamo crescendo più velocemente rispetto al resto d’Europa: il nostro punteggio complessivo sul Desi è migliorato di 5 punti (da 38,9 nel 2018 a 43,9 nel 2019), contro i 2,7 punti della media europea. Nessun altro paese ha registrato una crescita più elevata di quella Italiana.
L’Osservatorio ha sviluppato un indice Desi a livello regionale per fornire un quadro più approfondito delle priorità di digitalizzazione per il nostro Paese. Tutte le regioni italiane si posizionano sotto la media europea. La regione più digitale è la Lombardia, seguita da Lazio, Emilia-Romagna, Provincia Autonoma di Trento, Liguria, Toscana e Piemonte. La Calabria è ultima in classifica con 20,4 punti, preceduta da Molise, Abruzzo e Basilicata.
Per superare i limiti del Desi, l’Osservatorio ha prodotto i Digital Maturity Indexes, una sistema di indicatori più completo e preciso per misurare la trasformazione digitale, essere meno esposti al mancato aggiornamento di alcuni dati e dare indicazioni utili ai policy maker. L’Italia è 20esima su 28 paesi europei per sforzi compiuti nell’attuazione della propria Agenda Digitale e 24esima per risultati raggiunti. In particolare, sul primo aspetto, nel 2018 ci sono stati progressi negli ambiti “infrastrutture” (+3 posizioni) e “digitalizzazione della PA” (+2), azzerando il divario con la media europea. Migliora anche “imprese” (+2), anche se non abbastanza per colmare il gap con l’Europa, che risulta ampio anche relativamente alle azioni per rendere più digitali i cittadini. Per quanto riguarda i risultati della digitalizzazione nei vari pilastri, miglioriamo le posizioni relative a infrastrutture (23°), digitalizzazione della PA (21°) e cittadini (24°), anche se restiamo sensibilmente sotto la media europea. Il nostro Paese sta iniziando a cogliere alcuni frutti degli investimenti fatti in digitalizzazione, ma serve tempo perché si traducano in risultati concreti. Le aree su cui è più urgente intervenire sono quelle relative all’utilizzo delle tecnologie digitali da parte di imprese e cittadini, perché esiste una forte correlazione fra il benessere di un Paese e la sua maturità digitale.
L’innovazione digitale inizia a diffondersi nel pubblico: cresce l’interesse per le iniziative di Smart Working e Blockchain, anche se i progetti non sono maturi, mentre sono ancora poche le startup digitali che lavorano con la PA. Nel dettaglio, nel 2019 è raddoppiato il numero di PA italiane che hanno attivato iniziative strutturate di Smart Working rispetto al 2018, passato dall’8% al 16%. Ma solo il 23% dei progetti in ambito pubblico è a regime, il 32% è in fase di estensione e il 45% è in corso di sperimentazione. È alto l’interesse per progetti di Blockchain, il cui uso in ambito pubblico è in crescita già da qualche anno (+300% dal 2016 a oggi nel mondo). Con 15 progetti avviati, L’Italia è tra i Paesi che stanno conducendo più sperimentazioni, in particolare per migliorare la gestione di documenti scambiati tra PA e cittadini. È agli inizi la collaborazione con le startup: sono 212 in tutto il mondo le startup digitali finanziate che offrono soluzioni alla PA, la maggior parte con sede in USA (110), 58 in Europa, ma una sola è italiana. Considerando anche le non finanziate, in Italia si stima che meno del 10% delle startup lavori con la PA.
Il 18% dei Comuni “Digital Champions”, tipicamente di media o grande dimensione, ha digitalizzato la maggior parte dei servizi oggi offerti ai cittadini. Un terzo (36%), i “Beginners”, prevalentemente di piccole dimensioni, non sono per nulla digitalizzati o stanno muovendo i primi passi, e il 46% “Digital Believers” (generalmente di medie dimensioni) ha avviato il processo ma sono ancora lontani dai migliori. È quanto emerge dal sondaggio condotto su un campione di 806 Comuni italiani. I servizi più digitalizzati sono quelli alle imprese, in particolare la SCIA, gestita in digitale dal 71% dei Comuni, mentre tra i servizi al cittadino i più digitalizzati sono i servizi scolastici. Lo switch-off, la chiusura del canale analogico in favore del digitale, è una possibilità esplorata dai Comuni soprattutto nei servizi alle imprese (dove esiste un obbligo di legge per quanto riguarda il SUAP) e, nel caso dei servizi al cittadino dove è possibile identificare a priori un’utenza ben definita, ad esempio i genitori dei bambini che vanno alle primarie. Mediamente l’87% di queste iniziative sui servizi al cittadino è portata avanti da Comuni “Digital Champions”, mentre si riduce il divario nel caso dei servizi alle imprese, complice l’obbligo normativo, dove anche tra i “Beginners” c’è un 20% degli Enti che ha eliminato il canale analogico nel caso del Suap.
Il mercato di soluzioni digitali della PA vale 5,8 miliardi di euro, appena l’8% del mercato digitale italiano, ed è concentrato nelle mani di pochi attori. “I tempi delle gare sono ancora troppo lunghi: mediamente, una gara pubblica in tecnologie digitali è assegnata 4,5 mesi dopo la scadenza per presentare le offerte. Le gare di oltre 1 milione di euro richiedono più di 6 mesi – afferma Luca Gastaldi, Direttore dell’Osservatorio Agenda Digitale -. E in queste tempistiche non sono considerati i tempi per la preparazione delle gare e quelli per gestire i ricorsi, usati spesso in modo strumentale dalle aziende escluse”.
Le gare Consip relative a soluzioni digitali attivate dal 2016 al 2023 hanno un valore complessivo di 5,3 miliardi di euro, il 55% già speso dalle PA, e nuove sono previste entro il 2020. Le gare hanno consentito di portare avanti la trasformazione digitale della PA in un quadro di forte incertezza normativa: a 3 anni dalla pubblicazione del Codice dei contratti pubblici, sono stati adottati solo 24 dei 56 provvedimenti attuativi per renderlo pienamente operativo. D’altro canto, è necessario incentivare gli appalti innovativi e favorire le collaborazioni tra PA e imprese. Solo il 30% dei Comuni gestisce le fasi di gara completamente in digitale e i processi di procurement pubblico sono spesso gestiti male: l’83% dei comuni non analizza le performance dei processi d’acquisto.