Gli eventi catastrofici sono tutt’altro che imprevedibili. Eppure, costantemente nel corso della storia, i governi e le aziende non sono riusciti a prendere precauzioni adeguate a mitigare e rispondere ad essi, come sostiene l’ultimo studio elaborato da Arthur D. Little. Molti governi, organizzazioni e compagnie private non erano adeguatamente preparati a rispondere all’emergenza da Covid-19, nonostante nell’arco degli ultimi 10 anni il mondo abbia affrontato diverse pandemie e numerosi leader politici e di azienda avessero messo in guardia rispetto la possibilità di una nuova pandemia globale.
Lo stesso, Bill Gates dichiarò in un TED Talk nel 2015 che “se qualcosa dovesse mai uccidere 10 milioni di persone nelle prossime decadi, è molto più probabile che si tratterà di un virus altamente infettivo piuttosto che una guerra”, dimostrando nuovamente come una pandemia di questo tipo era assolutamente prevedibile. Nel 2018 e nel 2019 il John Hopkins Center for Health Security ha ospitato due convegni finalizzati a illustrare le migliori decisioni strategiche per gli USA e altri Paesi per reagire al meglio a una eventuale e probabile pandemia globale.
Solo pochi Paesi erano adeguatamente preparati a rispondere effettivamente agli sconvolgimenti pandemici e si tratta principalmente di Paesi asiatici, continente che è già stato esposto alla pandemia da SARS nei primi 2000. Arthur D. Little evidenzia le principali cause di mala gestione del rischio di catastrofe e suggerisce dove intervenire affinché situazioni di questo tipo non si verifichino con la stessa violenza distruttiva del 2020.
Crisi di questa portata – sanitarie e non – avvengono regolarmente: dalla storica Epidemia di Influenza Spagnola del 1918 fino alla SARS del 2003, nonché il focolaio di Ebola del 2014, il più esteso nella storia documentata che ha causato 30.000 morti e danni economici per circa 2,2 miliardi di dollari in Guinea, Liberia e Sierra Leone. Il report evidenzia anche le numerose crisi naturali verificatesi nell’ultimo ventennio – il terremoto di Fukushima, l’Uragano Katrina fra i vari – e le principali catastrofi industriali come la crisi Bhopal del 1984, l’incidente Seveso del 1976 e la più grande catastrofe naturale della storia d’America con l’esplosione della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon nel 2010. Eventi e fenomeni assolutamente prevedibili con un preciso modello di gestione del rischio sostiene il report di Arthur D Little che identifica i principali fattori chiave che contribuiscono a sottovalutare il rischio di catastrofe e ripetere gli stessi errori a distanza di pochi anni:
1. La mentalità iper-positiva del “si può fare”, molto radicata all’interno di organizzazioni che spesso sottovalutano il valore di tratti come prudenza, attenzione ai dettagli e cautela nei top leader;
2. La trappola del breve periodo, per cui leader di Governo e aziende che molto spesso tendono a essere giudicati su di un arco di tempo breve, assumono la tendenza a posticipare azioni volte alla prevenzione, in quanto rischi di grande portata tendono a essere infrequenti;
3. Il bisogno di vivere qualcosa per crederci. Si racconta spesso che le persone non imparino dalla storia, ma è più accurato dire che le persone non imparano dalla storia di qualcun altro. I Paesi che meglio hanno reagito al Covid-19 erano gli stessi che erano passati per la SARS.
Certo, è facile criticare con il beneficio del senno di poi, ma è impossibile non concludere che gli attuali approcci di gestione del rischio e della resilienza sono inadeguati. Il mondo imparerà dal Covid-19, come ha imparato dall’11 settembre, e numerosi nuovi controlli e misure saranno messi in atto per proteggersi da future pandemie.
Ma che ne sarà del prossimo disastro globale che avrà un aspetto diverso dal Covid-19? Ciò che è necessario è un grande ripensamento della gestione del rischio, riconoscendo le debolezze sottostanti e muovendosi verso un approccio molto più dinamico, di rilevamento e risposta, abilitato dalle nuove tecnologie digitali.
Se viene accettato il fatto che negli ultimi anni Governi e aziende non abbiano investito particolare interesse e risorse nella prevenzione di eventi catastrofici, risulta quantomeno necessario portare avanti lo sviluppo di un sistema di prevenzione e segnalazioni basato su tecnologie Big Data. Infatti, un approccio basato sui dati permetterebbe di sviluppare dei modelli predittivi grazie ai recenti sviluppi in tema di Intelligenza Artificiale e Machine Learning, su cui Arthur D. Little è particolarmente strutturata.
Infatti, sostiene lo studio di Arthur D. Little, è preferibile un approccio preventivo che sappia leggere gli indicatori nascosti fra i dati, rispetto a un modello reattivo il momento in cui si verifica la crisi. Nonostante i danni arrecati, i tempi di crisi spesso portano a miglioramenti e nuove opportunità.
Paesi come Singapore, Corea del Sud e Australia forniscono esempi virtuosi di un modello di gestione dell’emergenza, nella più recente analisi sulle migliori partiche di risposta al Covid-19, condotta da Arthur D. Little in collaborazione con 25 CEO sono emerse cinque linee guida per ottimizzare la gestione del rischio:
1. muoversi velocemente, supporre il peggio ed essere esaustivi (non passo dopo passo); garantire la sicurezza dei dipendenti prima e la continuità operativa dopo; essere agili e flessibili, ma con una solida struttura di base;
2. tenere il personale strettamente informato, essere diretti, essere dettagliati, ed essere pronti a spendere la maggior parte del tempo su questo; concentrarsi sulla positività e sul morale e ascoltare oltre che parlare;
3. creare due distinti team A e B fisicamente separati per le operazioni critiche;
4. collaborare strettamente e apertamente con il governo e le autorità; impegnarsi con i sindacati; raggiungere e sostenere le comunità locali;
5. essere realistici ma iniziare a pianificare la ripresa ora; utilizzare team separati per lavorare sulla ripresa quando la crisi è ancora in corso; sfruttare il potenziale delle opportunità nella “nuova normalità” del futuro.
Fonte foto Pixabay_ivanacoi
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