Il 70% delle aziende esportatrici è concentrato in Lombardia (29,2%), Veneto (13,7%), Emilia-Romagna (10,6%), Piemonte (8,9%) e Toscana (8,1%), da dove si esportano merci per un valore pari ai 3/4 del totale nazionale. È quanto emerge dallo Studio sulle aziende esportatrici realizzato da Cribis, società del gruppo CRIF specializzata nella business information, che ha esaminato i dati di un campione di 110.000 aziende che scambiano con l’estero beni e servizi per 400 miliardi di euro (80% circa del totale nazionale).
Meno di un’azienda piemontese su 10 (8,85%) ha relazioni commerciali con l’estero e una situazione simile è stata rilevata da Cribis in Toscana (8,05%). La quota di imprese esportatrici si riduce progressivamente in Campania (4,34%), Lazio (3,93%), Marche (3,37%), Puglia (3%) e Friuli-Venezia-Giulia (2,91%), per poi raggiungere quote inferiori all’1% in Calabria, Sardegna, Basilicata, e Valle d’Aosta.
“Milano” spiega Marco Preti, amministratore delegato Cribis “è la provincia italiana dove si concentra il maggior numero di aziende esportatrici (11%, pari al 14,8% del valore dell’export italiano), questo in virtù del fatto che ormai Milano è l’hub del commercio e dei servizi in Italia” precisa Preti. “Molto più distaccata nella classifica delle province seguono Torino (4%), Brescia (3,7%), Vicenza (3,3%) e Bergamo (3,3%)”.
In quanto partner del network di Dun & Bradstreet, Cribis è storicamente a fianco delle aziende che vogliono esportare, sia grandi realtà ma anche migliaia di PMI. “Recentemente abbiamo lanciato una nuova suite di soluzioni, Cribis Export, che supportano le PMI in tutte le fasi del percorso di internazionalizzazione: dall’autovalutazione e l’analisi dei mercati più potenziali, alla ricerca di nuovi clienti, distributori e importatori fino al monitoraggio del rischio di credito e alla consulenza operativa per l’export” afferma Preti.
L’analisi di Cribis evidenzia come in soli 15 settori produttivi si concentri il 70% del valore totale degli scambi internazionali del nostro Paese. In testa ci sono i “macchinari industriali” (14,6%), e in successione “attrezzature da trasporto” (8,4%), “prodotti alimentari” e “attrezzature elettriche ed elettroniche” (6,2% ciascuna), “metallurgia” (5,9%), “prodotti chimici” e “manufatti in metallo” (5,8% ciascuna). “Analizzando nel dettaglio i singoli settori produttivi” aggiunge Preti “abbiamo notato che la maggiore incidenza di aziende esportatrici si registra nel comparto ‘prodotti chimici’, dove più di un’azienda su tre (34,6%) ha interscambi con l’estero. A seguire ci sono i ‘macchinari industriali’ (31%) e ‘gomma e plastica’ (29,7%)”.
Secondo l’analisi, il 60% delle aziende esportatrici ha fatturati in crescita, mentre per quel che concerne la dimensione delle imprese, oltre la metà (51,5%) è costituita da microimprese, che però genera solo il 4,8% del fatturato nazionale estero. “In linea generale” conclude Preti “le aziende che esportano sono più affidabili: il 38% ha una rischiosità commerciale ‘bassa’ contro una media nazionale del 9% e solo il 6% paga i fornitori con ritardi superiori ai 30 giorni, contro una media nazionale dell’11,5%”.