Di Angelo Rosiello, Partner Utilities & Digital Oliver Wyman
Ormai da molti anni, il sistema economico in cui viviamo, ma anche le nostre stesse vite, sono stati investiti da una crescente digitalizzazione, che ci ha resi sempre più interconnessi, ma che ha anche portato alla ribalta la questione cruciale della sicurezza informatica (o cybersecurity), un settore che deve svilupparsi altrettanto rapidamente se governi, imprese o famiglie vogliono evitare di subire ripercussioni da attacchi hacker come quello su scala mondiale che ha avuto luogo lo scorso 5 febbraio. In particolar modo, ci auspichiamo che questo avvenga in quei segmenti che operano su infrastrutture critiche o che sono vitali per un sistema paese, come i servizi finanziari, l’energia, le telecomunicazioni e il servizio pubblico.
Come detto, gli attacchi informatici stanno raggiungendo portate sempre più vaste; pertanto, quella della cybersecurity è una questione che deve essere affrontata attraverso investimenti governativi che mirino a promuovere la cultura della sicurezza informatica, a sviluppare un piano strategico chiaro per agire sulle aziende e sulla pubblica amministrazione con interventi di messa in sicurezza degli asset critici e delle infrastrutture essenziali – come del resto già previsto dalle linee guida del PNRR – a favorire lo sviluppo di una intelligence per prevenire potenziali attacchi, a facilitare la collaborazione tra i vari settori e tra le imprese e a monitorare l’effettivo allineamento delle imprese alle best practice. Tuttavia, se si esaminano attentamente quali sono gli obiettivi degli attacchi hacker, escludendo quelli sferrati a fine dimostrativo o di protesta (ad esempio da parte di gruppi anarchici), si può osservare che questi sono quasi sempre diretti verso il mondo delle imprese. Gli scopi degli hacker, infatti, nella maggior parte dei casi rientrano nell’ambito dello spionaggio industriale, dell’interruzione dell’operatività aziendale, anche a scopo di riscatto (ransomware), degli attacchi DDoS, volti a interrompere il normale traffico di un server, servizio o rete, e del “data breach”, cioè la violazione dei dati aziendali, spesso su dati personali, con obbligo di notifica al Garante.
Alla luce di quanto riportato sopra, è essenziale che un grande sforzo allo sviluppo della cybersecurity provenga dalle imprese stesse, che, da un lato, devono investire di più nella formazione del capitale umano a tutti i livelli (attraverso la simulazione di gestione delle emergenze lungo tutta la supply chain, la sensibilizzazione del board e l’aggiornamento continuo) e nell’appianare il gap di obsolescenza tecnologica e di vulnerabilità degli asset ICT/OT; dall’altro devono evitare di commettere degli errori che possono compromettere la loro sicurezza. Di questi, noi di Oliver Wyman ne abbiamo rilevati 6 che oggi sono, purtroppo, molto diffusi:
- Considerare la cybersecurity come un tema solo tecnologico, per addetti ai lavori (CIO, CISO), invece di una priorità per il board, da portare all’attenzione del top management
- Non pianificare adeguati investimenti, che sono sempre più importanti per stare al passo con la digitalizzazione
- Non conoscere la propria esposizione al rischio cyber (quant’è in euro la perdita attesa in caso di uno scenario di attacco), che può portare a parcellizzare gli investimenti e diluire l’attenzione
- Non valutare il rischio cyber lungo tutta la supply chain (per esempio quello relativo ai fornitori)
- Non innestare il rischio cyber nei processi decisionali e di business
- Non integrare l’IoT/OT nei piani di sicurezza