L’Italia che innova supera le incertezze economiche

Il mercato digitale cresce: +1,2% nei primi sei mesi del 2016.

Pubblicato il 16 ottobre 2016

Il rallentamento del quadro macroeconomico non intacca le potenzialità di ripresa della digitalizzazione del paese. Nei primi sei mesi del 2016, il mercato digitale italiano (informatica, telecomunicazioni e contenuti) è cresciuto dell’1,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, a 31.953 milioni di euro, lasciando intravedere una crescita per l’intero 2016 dell’1,3% a 65.759 milioni a fronte di una crescita 2015 dell’1% e di cali continui negli anni precedenti. E se si scorpora dal mercato la pur importante componente dei servizi di rete di telecomunicazione, il confronto diventa ancora più incoraggiante con una crescita del 3,2% nel primo semestre del 2016, contro il 2,5% del primo semestre dell’anno scorso. Queste le principali evidenze numeriche dell’andamento del mercato Ict in Italia per i primi sei mesi del 2016, secondo le rilevazioni di Assinform, condotte in collaborazione con Netconsulting Cube.

Per recuperare i ritardi accumulati negli scorsi anni servirebbero dinamiche più sostenute,” ha commentato Agostino Santoni, Presidente di Assinform. “Ma i segnali sono comunque buoni, sia per il segno più che per il secondo anno accompagna i trend complessivi, sia e soprattutto perché è sempre più evidente un mutamento della domanda che spinge le componenti più legate all’innovazione di processi, servizi, prodotti”.

E infatti, mentre la progressione dei contenuti e della pubblicità digitale (+ 9%) compensa il calo dei servizi di rete (-2,2%), crescono i servizi Ict (+2%, spinti dal cloud) e ancora di più il software e le soluzioni (4,8%, grazie anche all’Iot). E se si attraversano i diversi comparti per pesare le dinamiche delle componenti più innovative (digital enabler) si nota come il cloud cresca a tassi attorno al 20%, l’Iot al 15%, il mobile business al 13/14%, le soluzioni per la sicurezza al 5%.

Attenzione particolare meritano l’Iot e il cloud” ha aggiunto Santoni. “L’Iot è quanto di più potente ci possa essere per innestare le potenzialità del digitale in quelle degli altri settori chiave del made in Italy, innovandone prodotti, servizi e filiere, e offrendo spazi molto promettenti ai progetti di digitalizzazione diffusa in chiave industria 4.0. E questo mentre i servizi di data center e del cloud computing danno conto di mutazioni importanti, sia sul fronte della domanda, per la facilità di accesso a capacità Ict senza investire in immobilizzazioni, che su quello dell’offerta ove l’accento si va spostando sulla capacità di fornire funzionalità anziché asset”.

Il cambiamento è già in atto, ma ancora e solo nei settori più dinamici. Va assecondato ed esteso e le priorità sono note. Attengono alla diffusione delle infrastrutture digitali in banda larga, all’attuazione della strategia digitale, ai nuovi programmi industria 4.0, alla creazione di competenze digitali, da intendersi anche come capacità di interpretare i vantaggi del digitale. È importante mettere una marcia in più nella’attuazione dell’agenda digitale a partire da Spid e Italia Login e da quanto concorre al rafforzamento del percorso di digitalizzazione della Pa. Così com’è altrettanto importante – ha continuato Santoni – dar seguito al disegno annunciato con il programma industria 4.0, che se messo in pratica dà una marcia in più su molti fronti: il coinvolgimento dell’indotto dei servizi; il cambiamento dell’approccio all’incentivazione, attraverso misure di stimolo ed agevolazione che lasciano margini all’imprenditorialità; la costruzione di un ecosistema digitale in cui hanno ruolo i poli d’eccellenza tecnologica; il coinvolgimento degli stakeholder; la messa in campo di risorse non inferiori a quelle dei paesi con cui concorriamo. Ma quel programma bisogna realizzarlo al più presto. Perché ne abbiamo bisogno e anche per evitare che l’attesa si trasformi in un rinvio delle intenzioni di investimento”.

In questo scenario va tenuto in conto anche il valore del patrimonio di conoscenze e di capacità Ict che il paese può esprimere. Per estendere la digitalizzazione nel territorio serve infatti un sistema articolato, che comprende sia entità guida, sia entità agili e capaci di interloquire nel territorio con le Pmi. È importante far convergere i programmi di digitalizzazione con gli stimoli all’evoluzione sul fronte dell’offerta, definendo con maggior chiarezza gli ambiti d’intervento di industria 4.0 di più diretto interesse per chi investe nel settore in Italia, stimolando le aggregazioni in chiave di crescita dimensionale, avviando nuove iniziative sui fronti della creazione delle competenze digitali e della riqualificazione degli addetti. L’evoluzione delle imprese del settore Ict va incoraggiata, per creare occupazione qualificata e per dare la paese la possibilità di non perdere il controllo del know how che è alla base degli stessi programmi nazionali per l’innovazione”.

 

I dati del primo semestre 2016

Tornando ai numeri, nei primi sei mesi del 2016, il mercato digitale nel suo complesso è cresciuto dell’1,2% a 31.953 milioni di euro. Il dato di crescita, si conferma più elevato di quello del Pil e anche di quello degli investimenti esclusi i mezzi di trasporto. E lascia anche intravedere una crescita per tutto il 2016 dell’ordine dell’1,3% a 65.759 milioni.

Già a un primo livello di disaggregazione, i dati indicano che alla crescita hanno concorso un po’ tutti i comparti, tranne, come detto, i servizi di rete: servizi Ict a 5.198,5 milioni (+ 2%); software e soluzioni Ict a 2.863 milioni (+4,8%), dispositivi e sistemi a 8.355 milioni (+1%), contenuti digitali e digital advertising a 3.816 milioni (+9%).

Nell’ambito dei singoli comparti, gli andamenti dei diversi segmenti hanno una volta di più confermato il rallentamento di quelli più tradizionali e il dinamismo di quelli più legati alla trasformazione digitale dei modelli produttivi e di servizio.

Il mercato dei dispositivi ha comunque dato segno di tenuta, grazie alle componenti più marcatamente infrastrutturali e agli smartphone (1.570 milioni, + 9,8%), che oramai sono nelle mani del 65% degli italiani e che nel semestre in esame hanno generato un traffico dati su rete mobile in crescita del 52,7%. È calata la componente Pc (-8% in volumi), ma non nella fascia dei Pc server, che anzi sono cresciuti, sempre in volumi, del 10,3%, a riprova della trasformazione in atto nelle aziende e del continuo potenziamento dei data center.

Il comparto del software e delle soluzioni Ict, già in ripresa da due anni e legato più di ogni altro all’innovazione, ha mostrato nell’insieme ancora più brio, raggiungendo a metà anno 2.863 milioni (+4,8%). Anche qui è evidente il segno della trasformazione in atto. È infatti cresciuto bene software applicativo (2.034 milioni, +7,1%) e proprio sull’onda delle componenti più innovative – piattaforme per la gestione web (+15,2%) e IoT (per il manufacturing, l’energy management, l’automotive, ecc., +16,4% a 815 milioni) – mentre le soluzioni applicative tradizionali (-0,2% a 1.060 milioni) sono risultate sostanzialmente stabili. Hanno frenato il software di sistema (-0,4% a 246 milioni) e anche il middleware (583 milioni, -03% contro il +2,6% dei primi 6 mesi dell’anno scorso), ma non per carenza di domanda, quanto piuttosto per la migrazione di buona parte di essa negli ambiti del cloud e dell’outsourcing infrastrutturale.

Una nota molto incoraggiante viene dai servizi Ict, secondi solo ai servizi di rete per peso sul mercato digitale complessivo. La crescita rilevata, del 2% a 5.198,5 milioni, si contrappone non solo alla staticità dello scorso anno (+0,3%) ma ai cali continui degli anni precedenti, e rivela tutta la consistenza dei nuovi e più evoluti trend di spesa. Il comparto è infatti trainato dai servizi di data center e cloud computing (+18,8% a 1.074,8 milioni) che compensano la staticità dei servizi di assistenza tecnica (339 milioni) e l’andamento in moderato calo di tutti gli altri segmenti (outsourcing -1,7%, formazione -2,5%, consulenza -1,2%, sviluppo applicativo e systems integration -1,9%), più esposti sui fronti dell’Ict tradizionale, ma comunque coinvolti nella trasformazione in atto.



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