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MAGGIO 2019 AUTOMAZIONE OGGI 414 106 Il patto di non concorrenza per i lavoratori dipendenti uando un rapporto di lavoro è in corso di svolgimento, il lavoratore ha l’obbligo di comportarsi secondo correttezza e buona fede nei confronti del proprio datore di la- voro, e non può svolgere attività in concor- renza con esso, come peraltro specificato dall’Art.2105 del Codice Civile. Tali obblighi sono alla base di qualunque rapporto di la- voro senza che vi sia necessità di specifi- carlo e sottoscriverlo per iscritto. Tuttavia, una volta interrotto il rapporto di lavoro tra le parti per qualsiasi causa (li- cenziamento, dimissioni, risoluzione con- sensuale), tali obblighi vengono meno. In tali situazioni, come possono tutelarsi le aziende dalla possibile concorrenza che l’ex dipendente potrebbe fargli, per esem- pio trovando un nuovo lavoro in una so- cietà appartenente allo stesso mercato? È ormai prassi comune quella di concor- dare con i dipendenti che svolgono ruoli di particolare importanza dei patti di non concorrenza, cioè degli accordi che vinco- lino il lavoratore ad astenersi da determi- nate attività per un determinato periodo di tempo successivo alla cessazione del rapporto. Il patto di non concorrenza per il lavora- tore dipendente è regolato dall’Art.2125 del Codice Civile. Il Codice Civile stabilisce infatti gli elementi minimi necessari affin- Q ché il patto sia valido: deve essere stipulato in forma scritta, determinato nell’oggetto, nel tempo e nel luogo, e deve necessariamente prevedere un corrispettivo a favore del lavoratore. Analizziamo gli elementi necessari per la validità del patto, uno per uno. Il patto di non concorrenza deve essere stipulato per iscritto e firmato da entrambe le parti, e deve indicare espressamente l’area geografica per cui si intende valido, a pena di nullità. Sono nulle indicazioni di territorio generiche e troppo estese; è invece lecito un patto per l’intero territorio nazionale o europeo, seppure più esteso sarà il territorio, più alto dovrà essere il compenso. L’oggetto del patto consiste nei limiti imposti al lavoratore, ovvero nelle attività che lo stesso, per la durata pattuita, non potrà svolgere. Tuttavia, attenzione, i limiti devono es- sere tali da consentire al lavoratore nella sua successiva attività un reddito idoneo ad assi- curare il soddisfacimento delle esigenze sue e della sua famiglia. Infatti, di recente la Corte di Cassazione ha affermato che è nullo il patto se “ la sua ampiezza è tale da comprimere la esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in limiti che ne compromettano qualsiasi potenzialità reddituale ” (Sent. Cass. n.13282 del 10/9/2003). Per quanto riguarda la durata, la legge impone una durata massima di cinque anni per i dirigenti, tre anni per gli altri lavoratori. Se le parti hanno convenuto una durata mag- giore, si riduce automaticamente ai limiti di cinque e tre anni. Se invece le parti non hanno stabilito alcuna durata, si applicano automaticamente i termini di legge indicati. La legge impone l’obbligo del corrispettivo perché il lavoratore che sottoscrive il patto di non concorrenza deve essere in qualche modo compensato del ‘sacrificio’ che gli viene richiesto. Il corrispettivo deve essere congruo e proporzionato, ma la norma del Codice Civile non precisa dei parametri di calcolo da utilizzare. I patti che prevedono compensi simbolici o palesemente sproporzionati rispetto al sacrificio richiesto al lavoratore, sono nulli. Il compenso va deciso considerando i seguenti elementi: posizione gerarchica del lavoratore e retribuzione; durata e vincolo territoriale del patto; attività delle aziende concorrenti. Nessun compenso rende valida la rinuncia del lavoratore a qualsiasi possi- bilità di impiego. Prima di accettare di sottoscrivere un patto di non concorrenza, è bene fare attenzione alla penale. Molte aziende infatti inseriscono una clausola specifica che stabilisce che, se il lavoratore viola il patto, oltre a restituire il compenso ricevuto, dovrà pagare una somma a titolo di penale al datore di lavoro. In tal caso, l’azienda ha diritto a ricevere la somma a titolo di penale senza la necessità di provare di avere subito un danno. Oltre alla restituzione di quanto ricevuto e al pagamento della penale, se l’azienda prova di aver subito un danno in una causa contro il lavoratore, questi dovrà anche pagare una somma a titolo di risarcimento del danno. OTTOBRE 2019 AUTOMAZIONE OGGI 417 106 ALP – Assistenza Legale Premium Cominotto @cri625 Cristiano Cominotto, Arianna Pagnoncelli AVVOCATO AO

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