Ao_408
SETTEMBRE 2018 AUTOMAZIONE OGGI 408 134 obbligo di repechage di matrice giurispru- denziale, consiste in uno specifico dovere incombente sul datore di lavoro, il quale, prima di comminare un licenziamento individuale per giustificato motivo ogget- tivo, ha l’obbligo di verificare il possibile reimpiego del lavoratore nell’organico dell’azienda in posizioni equivalenti a quelle svolte fino a quel momento dallo stesso. Il mancato ottemperamento a tale obbligo da parte del datore di lavoro, pro- vato in corso di causa, è motivo di illegit- timità del licenziamento intimato, con le relative conseguenze prospettate ex lege. A tale proposito, dunque, qualora un dipendente licenziato per giustificato motivo oggettivo dovesse eccepire con ricorso la violazione dell’obbligo di repe- chage e chiedere al giudice di dichiarare l’illegittimità del licenziamento intimato, incomberebbe unicamente sul datore di lavoro l’onere di provare l’impossibilità di ricollocare altrove il dipendente e, dun- que, di aver adempiuto correttamente all’obbligo di repechage che la legge gli impone. A tale proposito, infatti, sebbene la giurisprudenza minoritaria, in passato, abbia posto parzialmente anche a carico del lavoratore l’onere di contribuire nel provare la possibilità di essere utilmente ricollocato in posizioni equivalenti o infe- riori, allegando l’esistenza concreta di altri posti di lavoro (Suprema Corte di Cassa- L’ L’obbligo di repechage zione civile, sez. lav., 15/07/2015, n. 14807), la recente e consolidata giurisprudenza della Suprema Corte ha superato tale orientamento e si è espressa in maniera puntuale e costante in senso nettamente contrario. Nello specifico, per esempio, si veda la sen- tenza del 19/04/2017 n. 9869, con la quale la Cassazione Civile, sez. lav. si esprimeva così: “ La Cassazione pone interamente a carico del datore di lavoro l’onere di provare l’im- possibilità del repechage, escludendo che sul lavoratore gravi un correlativo onere di alle- gazione iniziale di posizioni alternative a cui poter essere assegnato nel più ampio contesto aziendale ”. Tuttavia, è bene sottolineare che tale onere probatorio, soprattutto in contesti aziendali di grandi dimensioni e con un organico molto articolato, è particolarmente gravoso per il datore di lavoro, in quanto la verifica delle mansioni disponibili andrà fatta non solo in relazione a mansioni riconducibili allo stesso livello e alla stessa categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte dal lavoratore, ma anche in relazione a mansioni appartenenti a un livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale. Quest’ultima opzione deve essere presa in considerazione a maggior ragione se con- templata all’interno Ccnl di riferimento (art. 2103 c.c.). Inoltre, in aggiunta all’onere di allegare e provare la reale soppressione del reparto, o della posizione lavorativa cui era adibito il dipendente licenziato, e la reale impossibilità di un’utile riallocazione del di- pendente all’interno dell’organico dell’azienda nelle modalità sopra descritte, incombe sul datore l’ulteriore “ …onere di provare l’assenza di nuove assunzioni, per un congruo periodo di tempo successivo al licenziamento, di lavoratori addetti a mansioni equivalenti - per il tipo di professionalità richiesta - a quelle espletate dal dipendente licenziato ” (Cas- sazione Civile, sez. lav., 13/06/2016, n. 12101). Qualora il datore di lavoro non riuscisse, in corso di causa, ad adempiere all’onere della prova e il giudice ritenesse illegittimo il licenziamento, quali sono le conseguenze pro- spettate? Un recentissimo orientamento della Corte di Cassazione sez. lav. sul regime di tutela applicabile in caso di illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, per violazione dell’obbligo di repechage, si è espresso in senso favorevole alla cosid- detta ‘tutela reale’. Con la sentenza n. 10435 del 02/05/2018 la Suprema Corte afferma e spiega come, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la violazione dell’obbligo di repechage possa rientrare nella “ manifesta insussistenza del fatto ” posto alla base del licenziamento, ove vi sia evidenza probatoria della predetta violazione, e afferma che, in caso di accertata ‘manifesta insussistenza’, la tutela reintegratoria può essere applicata dal giudice ove non sia eccessivamente onerosa per l’azienda. Infine, poiché la legge non fornisce nessuna indicazione per stabilire in quali occasioni il giudice possa attenersi al regime sanzionatorio più severo, o a quello meno rigoroso, la Corte cerca di dare un parametro di valutazione. ALP – Assistenza Legale Premium Cominotto @cri625 Cristiano Cominotto, Silvia Colamaria AVVOCATO AO
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