L’ultimo posto di lavoro sulla Terra
Nell’acceso dibattito tra detrattori e sostenitori dell’impatto dell’automazione sul lavoro giunge un interessante contributo dal quotidiano The Guardian che ha recentemente commissionato “The Last Job On Earth”. Si tratta di un cortometraggio di animazione ambientato in un futuro distopico che ha per protagonista Alice, l’ultimo essere umano ad aver conservato un’occupazione.
La tesi del giornale inglese è che l’automazione può significare una società senza l’ossessione del lavoro, a patto però di porre seriamente al centro del dibattito i temi della ridistribuzione della ricchezza, della gestione del tempo libero e di un nuovo modello di sviluppo.
Lo scenario apocalittico del mini-film muove da teorie come quelle di Moshe Vardi, professore alla Rice University di Houston, che arriva a sostenere che entro il 2045 la disoccupazione globale supererà la soglia del 50% della forza lavoro, con macchine, androidi e intelligenza artificiale che avranno sostituito l’uomo nella maggior parte delle attività lavorative.
Anche recenti stime dell’Economist e dalla società di consulenza McKinsey ritengono che le nuove tecnologie nei prossimi anni ridurranno il peso della tradizionale occupazione manifatturiera.
Il tema non è nuovo. Fin degli inizi della rivoluzione industriale molti hanno profetizzato la fine del lavoro. In realtà se le tecnologie hanno cancellato alcuni lavori (in alcune zone del mondo), dall’altro hanno determinato nuovi equilibri e interazioni con gli esseri umani.
I robot industriali e i bancomat, ad esempio, hanno sostituito l’uomo nelle attività più faticose, ripetitive e a basso valore aggiunto, ma non hanno eliminato il lavoro nelle fabbriche e negli uffici. L’hanno semmai reimpostato e riqualificato, generando altri tipi di competenze professionali maggiormente creative e complesse.
“The Last Job on Earth” (qui sotto il link per vederlo su youtube) ha comunque il merito di sottolineare ancora una volta i rischi di un mondo in cui la tecnologia potrebbe generare schiere di disoccupati che affollano le strade. Un futuro dove l’angoscia e la solitudine sono i segni inquietanti di una società regressiva dominata dall’apparente perfezione dalle macchine.
La tecnologia però, come tutti i fenomeni umani, può essere governata e indirizzata in modo etico e nell’interesse comune. Senza contare il fatto che le nuove tecnologie stanno generando forme inedite di comunicazione, consapevolezza e istruzione. Insomma, uno scenario ben diverso da quello di “The Last Job on Earth” è possibile.
@armando_martin
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